Scrivere è l’eterna parola che resta tua per sempre
Mara E.

Per chi ama la lettura, la scrittura e sperimentare nuovi generi, ecco a voi gli scrittori che attraverso le loro opere, mi hanno colpita, emozionata, invogliata ad acquistare i loro romanzi e a conoscere meglio gli autori di queste meravigliose storie.
Rubrica di: “SCRITTO IO”

Cosa vogliamo leggere? cosa veramente ci appassiona?
Nel mio percorso di lettrice, prima di tutto, ho imparato che prima di essere scrittori di successo, siamo lettori affamati.
Abbiamo fame di emozioni.

Ho una nuova visione della lettura e voglio portare una ventata di novità nelle vostre vite.
Penso che lo lo stile di uno scrittore o scrittrice, non potete trovarla nella sinossi o nella quarta di copertina, ma negli incipit che introducono i testi.
Se sapranno appassionarvi, rapirvi, e mettervi la giusta voglia di continuare la lettura, allora vorrà dire che siamo davanti ad un opera completa, dall’inizio alla fine, ben strutturata, e ben congegnata.
Queste pagine vivide, fervide di immaginazione, di cenni storici, di amore e odio le ho amate io in prima persona e molti lettori e lettrici, portando in alto le classifiche vendite 2021, forse vi conviene dare un’occhiata e come sempre vi auguro buona lettura!

Scrittori e Scrittrici del 2021 e segnalazioni:
Tutti i link e le pagine di vendita potete trovarle cliccando il nome autore.
Vi presento gli scrittori e le scrittrici scelti per il mio blog e la rubrica di
“SCRITTO IO”
- Annarita Petrino presenta: Quando Borg posò lo sguardo su Eve
- Martina Guadalti presenta: Un altro passo ancora dentro la palude
- Monica Lanzara presenta: Ten
- Barbara Ann Parker presenta: All’ultimo minuto
- Emanuele Romano presenta: Figli: Sbagliando non si impara
- Marilù Murra presenta: Crescere sulle spalle dei giganti
- Roberto D’andrea presenta: Lasciami la mano
- Naomi Sciortino presente: Soleana
“SCRITTO IO”:
Annarita Petrino

Categoria: Fantascienza
Breve Sinossi: Nella Sedicesima Primavera gli esseri umani non sono l’unica specie dominante. Dopo il cataclisma che ha quasi ucciso il pianeta, vivono sottomessi ai borg che loro stessi hanno creato quando il mondo devastato da guerre e pestilenze aveva bisogno di tornare a essere popolato. Un Governo borg e leggi borg regolamentano la nuova società, i cui ideali sembrano discostarsi di poco da quelli che avevano fatto precipitare quella vecchia. Di quei giorni è rimasto un Partito, ora l’unico tentativo organizzato degli esseri umani per riaffermare la propria autonomia. La lotta per la libertà è un cammino lungo e costellato di vittime, ed è in questo scenario che si muove Lilandra Nassir, una giovane borg erede di una potente famiglia. Nella lunga e faticosa ricerca delle proprie origini e della sua sfaccettata identità, Lilandra attraverserà il nuovo mondo borg per scoprire che la diversità fra le razze è solo dettata dall’errata convinzione di un’inesistente superiorità di una sull’altra.
Parte prima
Lilandra si sporse cauta dall’angolo del muro di siepi.
Si guardò intorno e fece qualche passo. Non appena sentì un fruscio alle sue
spalle, scoppiò a ridere e riprese a correre. Luka, che un momento prima era
stato sul punto di afferrarla, si ritrovò ad annaspare nel vuoto.
«Prendimi, se ci riesci!» urlò la ragazza già lontana.
I capelli biondi e ricci ondeggiavano al vento e gli occhi verdi risplendevano
nella luce del tardo pomeriggio. Corse lungo il viale che portava al Cancello
Ovest, mentre ai suoi lati scorrevano le alte piante di valanchi bianchi in fiore. I
grandi fusti si incurvavano nella parte finale, andando a incontrare quelli del
lato opposto in un inestricabile abbraccio. I suoi stivaletti in cuoio nero bollito
con il tacco rinforzato assunsero un curioso colorito bronzeo a causa della terra
del viale che era di un rosso acceso. Il Cancello chiuso si stagliava imponente
davanti a lei, un insieme di sbarre di iridio dritte e slanciate che gettavano lampi
azzurri tutt’intorno. Poco prima di arrivargli vicino, Lilandra svoltò
bruscamente a destra e si tuffò all’interno di un piccolo sentiero che si apriva tra
le grandi siepi della zona vicino all’alto muro di cinta e sbucava nel cortile
lastricato di pietre rosa antistante l’ingresso della villa. Alle sue spalle c’era il
Cancello Principale, un complicato intreccio di ferro e rame che riproduceva
l’immagine stilizzata di due grandi draghi che si fronteggiavano. Il riflesso della
luce del sole creava l’effetto di scaglie dorate sui loro corpi e di fiamme dalla
loro bocca. Poco prima di raggiungere l’ingresso, Lilandra fu costretta a
fermarsi davanti a un anziano uomo di colore che indossava una livrea blu da
maggiordomo, i cui legacci in corda color argento erano perfettamente
simmetrici.
«Quante volte devo ripetervi di non correre a questo modo, signorina Lilandra?»
«Sempre a brontolare, Samoshi!» rispose lei, ridendo.
«Sapete bene che vostro padre non vuole che trascorriate troppo tempo con la
servitù fuori dalla villa,» continuò il vecchio, lanciando un’occhiataccia a Luka, che arrivava in quel momento.
«Giuro che questa volta l’idea è stata sua!» si giustificò il giovane, ansimando.
«Non importa!» tuonò il vecchio. «Sai bene quali sono gli ordini del padrone.
Ora vai nelle scuderie a finire il tuo lavoro!»
Il giovane si allontanò a malincuore, dopo aver salutato Lilandra con un gesto
della mano.
«Perché devi sempre rimproverarlo, Samoshi? È vero, l’idea è stata mia, e me
ne assumo tutta la responsabilità.»
Sul volto rugoso del vecchio apparve un sorriso. «Molto bene, perché vostro
padre vi sta aspettando nel suo studio.»
Lilandra prese a tormentarsi uno dei riccioli mentre lo scrutava, cercando di
capire se stesse dicendo la verità o meno.
«A dopo, allora,» disse infine.
Raggiunse la grande scalinata di granito che portava all’ingresso della villa.
L’ampio atrio interno era decisamente più fresco rispetto a fuori: si era all’inizio
della Sedicesima Primavera e le giornate erano molto calde e a tratti afose.
Il lucido pavimento di mogano nero non era certo adatto alle corse. Per questo
motivo, il solo fatto di entrare nella villa costringeva Lilandra a riprendere
l’andatura che si addiceva al suo rango. Si aggiustò la lunga gonna rossa a
balze, scuotendola per far cadere la polvere. Si avvicinò a un grande specchio
alla sua destra, incastonato nel muro e circondato da un motivo di rose
d’acciaio. Cercò di sistemare i capelli scompigliati e si accorse di avere le
guance rosse. Sbuffò: succedeva ogni volta che correva, non poteva farci nulla.
Dall’atrio due grandi scalinate portavano ai piani superiori, dove si trovava lo
studio di suo padre. Lei imboccò quella di destra, godendo della piacevole
frescura del corrimano in pietra, quindi si diresse con sicurezza verso il
corridoio centrale del secondo piano.
Giunta davanti alla lucida porta di legno bianco, tirò un bel respiro e bussò. Una
voce dall’interno la invitò a entrare.
«Volevate vedermi, padre?» chiese facendo capolino.
Andreor Nassir sollevò lo sguardo dalle carte sparse sul ripiano della scrivania.
«Entra pure, cara,» disse, quindi si alzò e le fece segno di accomodarsi.
«Giuro che questa volta l’idea è stata sua!» si giustificò il giovane, ansimando.
«Non importa!» tuonò il vecchio. «Sai bene quali sono gli ordini del padrone.
Ora vai nelle scuderie a finire il tuo lavoro!»
Il giovane si allontanò a malincuore, dopo aver salutato Lilandra con un gesto
della mano.
«Perché devi sempre rimproverarlo, Samoshi? È vero, l’idea è stata mia, e me
ne assumo tutta la responsabilità.»
Sul volto rugoso del vecchio apparve un sorriso. «Molto bene, perché vostro
padre vi sta aspettando nel suo studio.»
Lilandra prese a tormentarsi uno dei riccioli mentre lo scrutava, cercando di
capire se stesse dicendo la verità o meno.
«A dopo, allora,» disse infine.
Raggiunse la grande scalinata di granito che portava all’ingresso della villa.
L’ampio atrio interno era decisamente più fresco rispetto a fuori: si era all’inizio
della Sedicesima Primavera e le giornate erano molto calde e a tratti afose.
Il lucido pavimento di mogano nero non era certo adatto alle corse. Per questo
motivo, il solo fatto di entrare nella villa costringeva Lilandra a riprendere
l’andatura che si addiceva al suo rango. Si aggiustò la lunga gonna rossa a
balze, scuotendola per far cadere la polvere. Si avvicinò a un grande specchio
alla sua destra, incastonato nel muro e circondato da un motivo di rose
d’acciaio. Cercò di sistemare i capelli scompigliati e si accorse di avere le
guance rosse. Sbuffò: succedeva ogni volta che correva, non poteva farci nulla.
Dall’atrio due grandi scalinate portavano ai piani superiori, dove si trovava lo
studio di suo padre. Lei imboccò quella di destra, godendo della piacevole
frescura del corrimano in pietra, quindi si diresse con sicurezza verso il
corridoio centrale del secondo piano.
Giunta davanti alla lucida porta di legno bianco, tirò un bel respiro e bussò. Una
voce dall’interno la invitò a entrare.
«Volevate vedermi, padre?» chiese facendo capolino.
Andreor Nassir sollevò lo sguardo dalle carte sparse sul ripiano della scrivania. «Entra pure, cara,» disse, quindi si alzò e le fece segno di accomodarsi.
In quel momento Lilandra si accorse della presenza della madre, Aurosa.
«Buongiorno, madre.»
«Buongiorno, tesoro. Vieni, siediti qui vicino a me.» La ragazza ubbidì, seguita
dallo sguardo intenso di
Aurosa. Lilandra non poté evitare di confrontare la propria tenuta stropicciata
con quella della madre, che indossava un vestito di raso verde con corte
maniche a sbuffo e guanti lunghi fino al gomito. I capelli mossi, di un caldo
mogano, erano perfettamente raccolti in alto, dietro la testa.
Il padre indugiò qualche istante in piedi, dopodiché si accomodò di fronte a loro
in una delle poltrone del piccolo salottino candido al centro della stanza,
circondato dalle librerie tubolari che correvano sulle pareti, cariche di testi di
varia natura. Le vetrate rifrangenti filtravano la luce e la diffondevano intorno.
Andreor Nassir era alto e aveva un’aria austera, i capelli spruzzati di bianco e
gli occhi di un profondo verde bottiglia.
Era in tenuta da casa, con un completo di velluto scuro chiuso da una fila di
bottoni argentati.
«Non so davvero cosa fare con te, Lilandra,» iniziò sporgendosi in avanti e
lanciando un’occhiata di disapprovazione agli stivaletti impolverati. «Ho
cercato tante volte di spiegarti che la tua posizione ti impone di mantenere un
certo contegno, ma tu sembri non voler dare ascolto e continui ad assumere
atteggiamenti imbarazzanti.» La figlia non osò guardarlo negli occhi e lui
continuò. «Sei una Nassir e non devi mischiarti alla servitù. Se non ti deciderai
a ubbidirmi, sarò costretto a prendere dei seri provvedimenti.»
Lei rimase con lo sguardo fisso a terra. Non era certo la prima volta che il padre
le faceva la predica, ma le sembrava di notare qualcosa di diverso nel suo tono,
come se fosse… preoccupato.
«Quello che stiamo cercando di dirti,» intervenne la madre, «è che ormai hai
due Primavere e due Inverni, e dunque non sei più una piccola borg. Ci
aspettiamo che tu prenda coscienza di quali sono i tuoi doveri e che cominci a
comportarti con maggiore maturità.»
«Va’ pure, ora,» la congedò il padre.
Lilandra si alzò e accennò un inchino in segno di saluto. Prima che arrivasse
alla porta, il borg parlò ancora. «Quasi dimenticavo. Domani avremo a cena gli
Armon. So che tu e il loro figlio Ericor vi siete già conosciuti in passato, non è
così?»
«Sì, padre, abbiamo scambiato qualche parola in occasione dei ricevimenti.
Adesso posso andare?»
«Ma certo.»
«Non credi di essere stato troppo duro con lei?» chiese Aurosa quando la porta
si richiuse.
Il borg si alzò e andò alla finestra; il sole si nascondeva lentamente dietro la
muraglia di colline sfumate che circondavano la Tenuta. «Non ho potuto fare
altrimenti. Le notizie che mi arrivano ogni giorno non sono per niente
rassicuranti e noi abbiamo il dovere di proteggere il futuro di nostra figlia.
Ormai è grande, l’hai detto anche tu.»
«Oh Andreor, due Primavere e due Inverni non sono poi così tanto per una
ragazza borg. Lilandra ha sempre vissuto qui alla villa, sa così poco del mondo
che c’è là fuori.»
«Secondo il vecchio conteggio del tempo nostra figlia ha vent’anni, Aurosa. È
abbastanza matura per non comportarsi più come una ragazzina.»
«Se questo è vero, allora anche noi dobbiamo smetterla di trattarla come se
fosse ancora una piccola borg e spiegarle come è fatto il mondo, il nostro
mondo in particolare. Non ha senso tenerla all’oscuro, non credi?»
Andreor si girò a guardare sua moglie: aveva di nuovo quell’espressione negli
occhi, quella che gli faceva soppesare le sue decisioni non una, ma cento volte.
Chinò il capo. «La
Contea Gildeon è stata attaccata dal Gruppo di Resistenza. La Tenuta Pesa non
esiste più… Nessun sopravvissuto, nessuno che possa raccontare come sono
andate le cose. Non voglio che Lilandra passi troppo tempo con gli esseri
umani. Non è come in passato, Aurosa. Essi non ci ubbidiscono più e sono
pronti a ribellarsi alla prima occasione.»
«Alcuni dei nostri servi sono con noi da molti anni…»
«Questo non cambia le cose. Non possiamo fidarci di nessuno, non più. Il mondo sta cambiando. Di nuovo.»
Martina Guadalti

Illusioni e bugie sulla guerra in Vietnam
raccontate da alcuni illustri giornalisti
Categoria: Saggio storico
A mamma e papà, per i loro occhi lucidi
davanti a ogni mio traguardo.
INTRODUZIONE
“Cala il sipario in Vietnam dopo trentacinque
anni di lutti e sangue. Saigon è caduta, la guerra è
finita, l’America scossa dalla sconfitta.”
Così si legge nella prima pagina del Corriere della
Sera e così finiva la lunga e feroce guerra del Vietnam,
che si combatté per oltre dieci anni, dal ‘64 al ‘75, e che
rappresentò uno degli strascichi più drammatici del
processo di decolonizzazione, ma anche e soprattut-
to uno dei momenti di scontro più acuto fra gli Stati
Uniti e il mondo comunista. Nella cornice storica del-
la Guerra Fredda e del processo di decolonizzazione
la Guerra del Vietnam rappresenta infatti, uno degli
eventi più significativi, ed è per questo motivo che è
opportuno parlarne.
La questione vietnamita iniziò quando il Paese ri-
uscì a uscire dalla coloniale missione civilizzatrice
1 Corriere della Sera, giovedì 1 maggio 1975, Milano.
francese. Infatti, con la durissima sconfitta nella batta-
glia di Dien Bien Phu e la totale vittoria del Viet Minh
guidato dal generale Vo Nguyen Gep (13 marzo 1954,
7 maggio 1954) si arrivò agli Accordi di Ginevra nel
luglio del 1954. Tra gli obiettivi della conferenza c’e-
ra quello di ricercare un accordo di pace e una stabi-
lizzazione politica nell’Indocina francese. Dopo aspri
scontri, in particolare tra i rappresentanti Viet Minh
e quelli francesi, che facevano apparire inconciliabili
le iniziali posizioni delle due delegazioni, grazie alle
concise parole di Molotov si raggiunsero degli accor-
di, comunque temporanei: “mettiamoci d’accordo sul
diciassettesimo”, e “diciamo due anni?”. Così, dopo
otto anni, si concluse la guerra d’Indocina con il con-
seguente abbandono della regione da parte dei fran-
cesi; la temporanea divisione del Vietnam in due stati
distinti lungo il diciassettesimo parallelo, e la promes-
sa di indire libere elezioni in entrambi gli stati entro i
due anni successivi. In realtà però, la crisi indocinese
si inseriva nel contrasto Est-Ovest portando i germi di
un più vasto conflitto che si sarebbe scatenato di lì a
poco. Gli americani infatti, il cui obiettivo era quello di
sostituirsi ai francesi, non firmarono gli accordi anche
se ne presero atto promettendo di rispettarli. L’allora
presidente americano D. Eisenhower intravedeva il
sud del Vietnam come un ulteriore campo di battaglia
per la Guerra fredda: Le future elezioni vietnamite
2 S. Karnow, Storia della guerra del Vietnam, Milano, Rizzoli, 1985
avrebbero visto una sicura vittoria del Partito comuni-
sta e quindi la perdita del controllo nel sud del Paese.
È con questa fondamentale premessa che iniziarono
a intromettersi negli affari vietnamiti. Il conflitto vide
contrapposte le forze insurrezionali filo-comuniste e
le forze governative della cosiddetta Repubblica del
Vietnam. Iniziò fin dalla metà degli anni ‘50 con il pri-
mo manifestarsi di un’attività terroristica e di guerri-
glia in opposizione al governo sudvietnamita e vide
il diretto coinvolgimento degli Stati Uniti, che incre-
mentarono progressivamente secondo la strategia
dell’escalation le loro forze militari in aiuto al governo
del Vietnam del Sud. La guerra si concluse il 30 aprile
1975, con la caduta di Saigon, il crollo del governo del
Vietnam del Sud e la riunificazione politica di tutto il
territorio vietnamita sotto la dirigenza comunista di
Hanoi. Gli Stati Uniti subirono la prima vera sconfitta
politico-militare della propria storia, e dovettero ac-
cettare il totale fallimento dei loro obiettivi politici e
diplomatici.
L’elaborato illustra l’intero svolgimento della guer-
ra partendo dalle testimonianze e dai reportage di
alcuni giornalisti americani ed europei che, avendo
fatto esperienza diretta sul campo, riescono non solo
a raccontarne i fatti e le dinamiche, ma restituiscono
all’evento la sua grandezza e drammaticità. Il filo con-
duttore che lega i giornalisti trattati è quello della cri-
tica alla guerra stessa, perché, come è noto, la Guerra
del Vietnam fu la prima vera guerra mediatica che ha
avuto ampie e importanti ripercussioni nel mondo
dell’informazione, dopo la quale questo è cambiato
profondamente.
CAPITOLO 1
La fine del dominio francese
e il sostegno americano
al governo Diem
Il tentativo della Francia di riprendere possesso dei
vecchi territori coloniali, perduti durante la seconda
guerra mondiale a seguito dell’occupazione giappo-
nese dell’Indocina, aveva provocato la dura resisten-
za del movimento nazionalista Viet Minh, legato alle
potenze comuniste cinese e sovietica e guidato di un
capo carismatico quale Ho Ci Minh. La questione vie-
tnamita, come anticipato, iniziò quando il Paese riu-
scì a liberarsi dalla coloniale missione civilizzatrice
francese. Così dopo otto anni, si concluse la guerra
d’Indocina con il conseguente abbandono della regio-
ne da parte dei francesi; la temporanea divisione del
Vietnam in due stati distinti lungo il diciassettesimo
parallelo, il Vietnam del Sud filo-americano dell’au-
toritario presidente cattolico Diem e il Vietnam del
Nord in cui si costituì una Repubblica popolare cinese
guidata da Ho Chi Minh, e la promessa di indire libe-
re elezioni in entrambi gli stati entro i due anni suc-
cessivi. Queste elezioni non si sarebbero mai svolte,
perché Diem nel mese di ottobre del 1956 indisse un
referendum popolare per stabilire se lo Stato dovesse
essere una monarchia con Bao Dai come imperatore
o una repubblica con Diem stesso come presidente e
vinse con uno spoglio falsificato, che gli dava il 99% di
consensi. Così il governo del Vietnam del Sud del pre-
sidente Diem, appoggiato dagli Stati Uniti Con l’am-
ministrazione Esinawer, inviò Edward Lansdale come
capo della missione militare e poi come direttore della
CIA, per gli affari interni del Vietnam del Sud. Diem,
con l’aiuto del suo consigliere americano, si rafforzò
nei primi anni dopo la sua costituzione grazie al suc-
cesso propagandistico ottenuto con l’afflusso di quasi
un milione di vietnamiti, principalmente della mino-
ranza cattolica emigrati a sud dopo aver abbandonato
il nord comunista, e grazie a un’energica politica di re-
pressione delle forze Viet Minh rimaste al sud e a una
efficace lotta contro le società segrete che cercavano di
minare l’autorità governativa. Profondamente ostile a
Ho Chi Minh e al governo comunista nordvietnamita,
Diem, sostenuto dagli statunitensi che incrementava-
no gli aiuti economico-militari e rafforzavano il loro
contingente di consiglieri militari, rifiutò di far tenere
le elezioni generali previste per il 1956 che avrebbe-
ro potuto favorire l’influenza comunista sul governo
del Sud. Di fronte all’ostilità di Diem e all’aggressivi-
tà delle forze militari sudvietnamite, la dirigenza di
Hanoi decise, all’inizio del 1957, di riprendere la lotta
rivoluzionaria contro il governo di Saigon, organiz-
zando alcune decine di gruppi armati principalmente
nelle aree del Delta del Mekong. Nel corso del 1957
i guerriglieri filo-comunisti uccisero oltre 400 funzio-
nari governativi e iniziarono a minare l’autorità del
governo di Diem in molte aree contadine. Negli anni
successivi la situazione nel Vietnam del Sud peggiorò
continuamente, anzitutto per i gravi errori politici ed
economici del governo: le autorità imposero tasse ai
contadini e organizzarono il rovinoso esperimento
dei cosiddetti “villaggi strategici”, ideato e voluto da-
gli statunitensi per isolare la guerriglia dalle popola-
zioni che provocò enormi proteste nelle campagne e
sconvolse il tradizionale ambiente sociale delle risaie.
La diffusa corruzione nelle campagne e tra le autorità
amministrative minò il prestigio del governo e favorì
la propaganda e il proliferare delle forze guerriglie-
re tra le popolazioni contadine, spesso vittime degli
abusi dei funzionari governativi.
Barbara Ann Parker
![All'ultimo minuto: Una corsa contro il tempo di [Barbara Ann Parker]](https://m.media-amazon.com/images/I/41qrt2qf5WL._SY346_.jpg)
Categoria: Triller
Fermati e aspetta che la tua anima ti raggiunga
Racconto africano
A mio figlio Lawrence senza il quale il libro non ci sarebbe
Sinossi: New York. gente che si incrocia e si scontra frettolosamenete, rumori che si sovrappongono, le luci del traffico che sfrecciano sull’asfalto. L’All-Star Game è vicino, nessuno vuole mancare. Ma arriva una lettera. Una minaccia aleggia sull’evento.
Una devastazione programmata, una bomba. Nessuno prende sul serio la minaccia, “the show must go on”.
Quattro persone del tutto eccezionali, mosse dal desiderio di scoprire la verità si uniranno per scongiurare l’attentato.
Insieme affronteranno la grande sfida della loro vita, cercando di fermare l’ordigno prima che sia troppo tardi, mentre la lancetta corre implacabile e l’ora X si avvicina.
Parte Prima:
Quel giorno a New York
Confusione.
Odori.
Echi di grida lontane in varie lingue che si sovrapponevano fra loro sino a creare
un’incredibile cacofonia di suoni, fondendosi in un’unica musica.
Gente allegra, disperata, indifferente.
Persone che sfrecciavano una accanto all’altra, senza sentirsi, senza vedersi.
New York.
Serpeggiava per la città un senso d’aspettativa.
Lo si vedeva nei volti e nelle espressioni ansiose della gente che, come un fiume in
piena, arrivava in città da ogni parte e con ogni mezzo. In pullman, in treno e in autostop, a
piedi o ammonticchiati in maniera inverosimile in un’unica macchina, avevano sommerso
la città riempiendola di suoni e di musica, di colori e voci.
La Grande Mela se ne stava mollemente sdraiata a osservare il brulicare della gente.
Come ogni grande e affascinante donna, mostrava due facce a chiunque osasse
rivolgere lo sguardo su di lei.
Di giorno sporca, frenetica e implacabile come un enorme pesce, divorava chiunque
non fosse abbastanza forte da combatterla e tenerla al laccio mentre tentava
disperatamente di sopravvivere.
Di notte, invece, sinuosa come un serpente si srotolava e cambiava pelle, si
trasformava, si vestiva di luci e colori, di neon e insegne ammiccanti che chiamavano,
invitavano, stregavano.
Tutte le donne illuminate da quelle luci, sia che fossero dell’alta società sia lucciole della
notte, sembravano tutte più belle, vestite di colori brillanti e strass splendenti.
Tutte insieme, grandi e piccole, belle e brutte, buone o cattive, si fondevano per formare
l’unica grande incomparabile donna che era New York.
In quei giorni i bagarini facevano affari d’oro perché i biglietti per la partita dell’All-Star
Game erano ormai pressoché introvabili. Quelli venduti ufficialmente erano ormai finiti da
tempo e i bagarini erano rimasti l’unica speranza di trovarne miracolosamente qualcuno,
anche se a prezzi assolutamente inaccessibili per la maggior parte della gente.
Erano pochi infatti quelli che potevano permettersi di spendere quelle cifre, gli allibratori
clandestini sembravano impazziti: tutti scommettevano quello che avevano, che non
avevano o che avevano rubato.
New York, vista dall’alto, poteva sembrare un immenso acquario di cristallo nel quale,
come tante specie di pesci, le persone tutte diverse fra di loro si muovevano in
continuazione, incontrandosi, scontrandosi, sfiorandosi.
C’era chi si era trovato improvvisamente senza il lavoro che gli aveva permesso di
vivere dignitosamente, e avendo perso in uno schiocco di dita la casa e abbandonato dalla
famiglia, vagava mendicando con lo sguardo perso nel vuoto.
Inoffensivo per gli altri, deleterio solo per sè stesso.
I veri vagabondi che come indirizzo avevano un piccolo tratto di marciapiede, lo
difendevano strenuamente dalle invasioni di chi riconosceva subito la posizione strategica
del posto dove poter raggranellare qualcosa con più facilità. Molte risse scoppiavano per
questo motivo, i vagabondi venivano arrestati e c’era sempre chi prontamente occupava il
posto oggetto del litigio.
Molti ragazzi, che coltivavano solo un desiderio di fuga e oblio perché oramai schiavi di
droga e alcool, riempivano le strade alla continua, impossibile ricerca di qualcosa che non
avrebbero mai trovato.
Pur essendo giovani a volte erano i più pericolosi, la necessità di trovare i soldi per una
dose li portava a fare di tutto. Era facile sentire «Dammi tutto quello che hai, presto fai
presto altrimenti ti uccido.» Il coltello puntato alla pancia o alla gola convinceva spesso il
malcapitato a cedere.
Accanto a questa umanità disperata sfrecciavano i lavoratori, li si poteva riconoscere
facilmente, gli uomini vestiti in completi chiari di cotone o lino con il cellulare in una mano
fissavano appuntamenti di lavoro mentre con l’altra reggevano un caffè preso da
Starbucks.
Le donne, in abiti interi o tailleur, per poter camminare velocemente indossavano scarpe
da ginnastica, che stridevano con l’eleganza dell’abbigliamento, le décolleté con il tacco
alto e sottile, pronte per l’uso, erano ben conservate nella capace borsa portata con
disinvoltura a spalla. Il cambio delle scarpe sarebbe avvenuto in ufficio.
Poi c’erano ‘le donne’, quelle che scendevano da macchine lussuose, fasciate da abiti
costosissimi per dedicarsi a quelle incombenze considerate essenziali come lo shopping;
mentre gli autisti pazienti rimanevano ad aspettarle per caricare le macchine di mille
pacchetti.
Per ogni occasione mondana, per le uscite con le amiche o per gli incontri volti a
organizzare serate di beneficenza in cui la carità era l’ultimo dei pensieri, occorreva avere
sempre un abito nuovo. Era impensabile usare due volte lo stesso vestito.
Per queste serate bisognava per prima cosa trovare la location adatta, organizzare una
cena sontuosa e invitare le persone più importanti e più facoltose, il successo di questi
eventi, più mondani che sociali, dettava le regole della permanenza nella società più
esclusiva.
Sul fondo di quell’acquario di cristallo si muovevano tutti gli altri, la gente comune,
quella che combatteva ogni giorno con i problemi che la vita portava con sé.
In quel periodo dell’anno tutti speravano, tutti aspettavano che qualcosa cambiasse.
Qualsiasi cosa.
Il mese di giugno per le grandi città come New York era sempre un periodo molto
particolare, finalmente era finito l’inverno, stagione nella quale la mancanza di soldi e la
perdita di un lavoro pesavano molto di più.
La pioggia, la neve o un cielo uggioso rendevano tutto più difficile da sopportare.
Quando arrivava il mese di giugno, praticamente non cambiava nulla, la mancanza di
soldi era sempre in agguato, il lavoro perso non era stato ancora trovato, ma il cielo terso
e gli odori dell’inizio dell’estate rendevano gli animi più disponibili ad accettare gli aspetti
negativi e a combattere con più forza contro le avversità.
Per rompere la monotonia delle giornate che scorrevano una dopo l’altra, molti
trovavano rifugio nei sogni
C’era chi sognava qualcosa di imponderabile gli cambiasse la vita, chi fantasticava di
trovare per strada un portafoglio ben fornito, che gli avrebbe consentito di trascorrere
qualche giorno da leoni senza pensare troppo al futuro.
Anche i borsaioli speravano di trovare qualcosa di più, oltre ai soliti pochi spiccioli, in
quei portafogli che grazie a quelle mani quasi magiche sparivano dalle borse o dalle
tasche degli ignari donatori.
Speravano, sognavano di trovarvi un biglietto per l’All-Star Game, che in quei giorni era
il premio più ambito, il sogno più irrealizzabile.
Tutti attendevano il 15 luglio.
Durante il consueto campionato di baseball, il secondo o terzo martedì di luglio si
teneva una partita speciale, l’All-Star Game, alla quale partecipavano i migliori giocatori
della National League e dell’American League. Durante il campionato l’obiettivo di ogni
giocatore era partecipare a quell’incontro, a rotazione ogni anno cambiava la città che lo
ospitava e quell’anno era New York, si sarebbe svolto allo Yankee Stadium.
Tutta la città era pronta a godersi lo spettacolo.
A parte i tifosi più scatenati, alla maggior parte delle persone poco importava chi avesse
vinto o perso.
A loro occorreva solo una valida scusa per festeggiare e riscattare un lungo e freddo
inverno, che per molti era stato pieno di rinunce e di privazioni e quella partita era il mezzo
perfetto per riprendere a sognare, a sperare che qualcosa potesse cambiare.
Monica Lanzara

Categoria: Ragazzi – Young Adult – Narrativa –
Sinossi:
Un ragazzo misterioso. Un biglietto con un numero. Dieci desideri.
Megan ha diciotto anni e l’unica cosa che vuole è andare al college. Non le interessa nient’altro e
pensa di avere già tutto ciò di cui ha bisogno, finché non incontra Simon e i suoi dieci desideri.
Estratto:
«C’è un prezzo da pagare per questi desideri? Qualcosa di folle o un patto con il diavolo?» Non gli
domando espressamente se sia il diavolo, perché ho paura della sua risposta, ma un po’ mi rassicura
perché scuote la testa.
«No, niente prezzo da pagare. Devi stare solo attenta a quello che desideri perché si avvererà».
Emanuele Romano

Categoria: Educazione
Breve sinossi:
La meta è ben precisa: crescere figli felici ed autonomi, affiancandoli e sostenendoli nella costruzione ‘mattone
dopo mattone’ della loro identità.
I figli non smettono mai di essere figli, generando soddisfazioni e destando preoccupazioni al tempo stesso. Ci
sono, però, delle fasi evolutive ben identificabili e molto delicate legate alla crescita di ognuno di noi che meritano
di essere vissute a pieno da entrambe le parti (figli e genitori).
Un libro da leggere tutto di un fiato attraverso un percorso sensazionale ed autentico che ripercorre
dettagliatamente le principali fasi dello sviluppo fisico ed intellettivo dei bambini dalla nascita fino ai cinque anni.
Consigli, opinioni e suggerimenti operativi al fine di aiutare ad adempiere nel migliore dei modi al compito più
difficile di sempre: quello di essere genitori.
CAPITOLO I
CONCEPIMENTO
“Ho un ritardo!”
E si comincia con la prima ansia generale, perché diciamoci la verità, non si è mai pronti
all’idea di diventare genitori; se si ragionasse esclusivamente in maniera razionale, la specie
umana probabilmente si sarebbe estinta nell’arco di un paio di generazioni. Ci vuole un bel po’
di sana follia.
Non vi mettete a fare la lista dei pro e dei contro perché altrimenti non diventerete mai
genitori: non si è mai razionalmente pronti!
Fatta eccezione nel caso di eventuali patologie, credo che la spensieratezza possa aiutare molto.
Provare a concepire un figlio in vacanza, magari in luna di miele, o quando si è lontani dallo
stress e dalla fretta quotidiana, non può che contribuire alla causa.
Di certo programmare il concepimento, il doverlo fare a tutte le ore o in determinate posizioni
perché si è letto un libro o perché ce lo ha consigliato un amico non credo serva a molto, anzi.
Anche parlarne di continuo all’interno della coppia, ma anche con gli amici, aumenterà
solamente le aspettative e il nervosismo qualora le cose non andassero subito a buon fine e vi
porterebbe dentro a un circolo vizioso difficile da abbandonare.
La volontà di provare ad avere un figlio è una cosa privata e a mio avviso deve rimanere tale:
nessuno si deve permettere di chiedervi nulla in merito. È normale aspettarsi che una coppia
giovane e in salute che convive da anni o appena sposata possa volere dei figli ma queste sono
tutte supposizioni, spesso senza sapere nulla di cosa ci sia dietro: non giudichiamo dato che
non sappiamo come stanno realmente le cose.
Inoltre non sentitevi obbligati ad avere dei figli: non tutti sono portati ad essere genitori e non
tutti li vogliono realmente. Avere un figlio cambia la vita drasticamente e mina tutte le certezze
e le libertà alle quali eravamo abituati. Quindi non fatelo perché così si aspettano i vostri
genitori, i vostri amici o anche solamente il vostro compagno. Fatelo perché lo volete davvero
voi, senza badare a nessuna influenza esterna.
Non credo sia il caso di chi sta leggendo questo libro, ma nel caso crediate di non volere figli
né oggi né mai, questo discorso va affrontato molto chiaramente con il proprio partner prima
che si prendano decisioni importanti come il matrimonio: avere opinioni diverse in merito può
portare a delle inevitabili rotture di coppia.
Come descritto sopra un po’ di sana follia ci vuole ma anche un minimo di raziocinio. Se state
per cambiare lavoro, città, paese o non siete convinti della vostra relazione, aspettate un
attimo, datevi del tempo. Ovviamente tutto si può fare e un figlio è sempre un dono ma averne
uno, ove possibile, in situazioni più serene e stabili aiuta a gestire le molteplici e complesse
circostanze che inevitabilmente sarete portati ad affrontare.
Un’ultima cosa: quando una donna scopre di essere incinta è un momento importante. Potrà
succedere un paio di volte nella vita, forse tre (o anche di più se si è completamente e piacevolmente ‘incoscienti’).
NON ROVINATE QUESTO MOMENTO.
Per quanto mi riguarda del primo figlio abbiamo aspettato assieme che si colorasse il test. È
stata un’attesa infinita, i minuti più lunghi. Sei emozionato e speri che succeda ma allo stesso
tempo hai davvero timore. Avere un figlio ti cambia la vita sin dal momento in cui apprendi
che diventerai genitore, ancor prima che nasca, ed è normale avere delle paure. Ma quell’attesa
e ciò che provi quando realizzi che lo diventerai è indescrivibile.
Con mia moglie, quando sono uscite le due lineette ci siamo girati di colpo e guardati negli
occhi per qualche secondo. Quel momento e l’emozione che ne è scaturita la porterò sempre
con me! I suoi occhi lucidi che brillavano come non mai: i miei non li ho visti ma credo che
fossero lo specchio dei suoi.
E adesso? Altro che matrimonio, altro che convivenza, qui cambia davvero la vita. Diventi a
tutti gli effetti responsabile non più solo della tua di vita, ma anche di quella di qualcun altro. Il
matrimonio ti rende più uomo perché prendi atto di una promessa fatta a una persona che
dovrai cercare a tutti i costi di mantenere per tutta la vita. E la cosa più difficile è che quella
promessa non diventi mai un obbligo ma ci sia sempre la voglia reale di stare assieme.
La convivenza ti mette a dura prova perché devi imparare a condividere spazi, emozioni,
abitudini differenti spesso in pochi metri quadrati.
Ma un figlio è tutta un’altra storia!
Per il secondo figlio, mia moglie mi ha fatto una sorpresa. Mi ha fatto trovare un pensiero sul
tavolo al mio ritorno a casa da lavoro. Ogni tanto ci facevamo dei regali, anche delle
sciocchezze e quindi mai avrei pensato a una notizia del genere anche perché avevamo appena
iniziato a riprovarci. Quando mi sono ritrovato il test di gravidanza positivo in mano, con mia
moglie e la mia prima figlia che strillavano come pazze, è stato incredibile.
Tutto questo per dirvi che sono momenti che non tornano più – come una proposta di
matrimonio ad esempio. Diamogli il giusto peso! Non vi sto suggerendo di farli per forza in
pubblico, in pompa magna o chissà cosa. Vi sto solo consigliando di non renderli banali per
voi a livello di coppia, tutto qui. Solo voi conoscete alla perfezione il vostro partner e voi
stessi; solo voi sapete quale è il modo migliore per far sì che diventino i ricordi più belli e
speciali della vostra vita.
La vita è fatta di questi momenti e per fortuna/sfortuna ce ne sono pochi nell’arco della nostra
esistenza: godiamoceli appieno!
Marilù Murra

Categoria: Narrativa biografica
Sinossi : “ Crescere sulle spalle dei giganti”
Scrivere tratti della storia di Novoli e di alcuni concittadini contemporanei e
non, mi ha fatto girare la clessidra, riportando le lancette agli anni della
gioventù. Mi ha riempito di gioia condividere un itinerario che annodava la
morfologia di questo territorio con il vissuto delle generazioni che sono state
le radici su cui costruire ali per il futuro. Attraverso queste pagine si evince di
quale e quanta ricchezza fosse permeato il nostro territorio e soprattutto
dall’umanità operosa di chi ha vissuto questo luogo.
L’ambiente, le valenze del paesaggio ed il sapiente e saggio sfruttamento
delle risorse umane, devono creare in noi la consapevolezza che il bene della
terra su cui si vive è un valore aggiunto ed assoluto e si deve operare perché si
continui a riprodurre lo stesso rispetto che i nostri antenati ci hanno
consegnato.
Man a mano che il testo ha preso forma e mi tornavano in mente
concatenazione di avvenimenti vissuti, ho cercato testimonianze dirette ed
indirette, fonti scritte,orali ,fotografiche, trovando una collocazione
morfologica e mentale.
Da documenti e semplici minuzie che, di primo acchito, sembrava non
avessero alcuna relazione con la storia, si sono ricostruiti non solo i passaggi di
generazioni ma anche e soprattutto aspirazioni, sentimenti e relazioni sociali.
È in questa ottica che si deve leggere questo libro, esso deve essere lo
stimolo per maggiori approfondimenti e per aprire nuove vie di ricerca, alla
luce di queste scoperte stupefacenti; ricordando sempre, che la conoscenza e
la curiosità sono gli elementi che hanno ordito i fili della trama di un
territorio.
Il poter consegnare ai miei concittadini queste pagine, è per me un
momento di grande commozione, in quanto sono convinta che i comportamenti
di una comunità si fondino sulla conoscenza di sé e della propria
storia. “Per dare nuova forma al nostro futuro dobbiamo guardare al nostro
passato”. È questo il pensiero da cui sono partita, chiedendomi
come recuperare il senso di appartenenza alla comunità. Come nelle vecchie
soffitte, piene di fotografie sbiadite e nelle passeggiate spontanee (e gratuite)
si sono create tracce tangibili di ricordi e storie dimenticate, che raccontavano
il territorio e la sua gente.
Passo dopo passo, mi sono sentita la custode sociale di questo scrigno
prezioso che parte dal mio e nostro passato e, arricchisce la bellezza artistica,
umana e culturale, diventando tesoro del presente. Passeggiare per concedersi
di osservare, incontrare, comprendere chi abbiamo vicino. Come in una fiaba
vagabondando ho ammaliato ed invitato anziani, adulti e bambini, a
raccontare e raccontarsi, per conoscere e conoscersi.
Un recupero di emozioni antiche per accorgersi del luogo in cui si vive,
percependone la bellezza inesplorata, notandone anche le mancanze e le
carenze. Così da cittadini erranti si diventa protagonisti del proprio territorio,
rimboccandosi le maniche per renderlo migliore. In questo modo si potrebbe
recuperare il senso di comunità, il suo significato più profondo, ovvero quello
di prendersi cura dei beni comuni materiali, immateriali e personali, tangibili e
intangibili, a volte manifesti, altre nascosti, per camminare insieme verso un
nuovo futuro, lontano dalla solitudine, lontano dall’oblio.
Roberto D’Andrea
![LASCIAMI LA MANO (Gli Aedi Vol. 24) di [Roberto D'Andrea]](https://m.media-amazon.com/images/I/51Jxp8kxxwS.jpg)
Categoria: Autobiografia
Sinossi:
La storia è di epoca recente (biennio 2014 – 2016), ambientata in una
terra ricca di fascino come l’Alto Adige. Laura è una donna del
posto, cresciuta con tradizioni locali, mentre Roberto è un siciliano
trapiantato a Bolzano per lavoro. I due protagonisti si conoscono
tramite social e ne sboccia un amore, intenso. Le due diverse culture
però, si scontrano e le troppe persone che gravitano nella coppia,
minano la loro stabilità. La sicilianità di Roberto emerge in ogni sua
forma, scontrandosi con il fare più emancipato di Laura che rivendica
la propria libertà. L’amore però sembra riuscire a vincere tutto e tutti,
anche quando Roberto scopre delle storie di Laura con un passato
non proprio eccelso. Una ultima, meravigliosa vacanza insieme,
sembra dare l’inizio ad un sogno di vita comune, immediatamente
spezzato al rientro a casa. La decisione stavolta è definitiva
nonostante il profondo sentimento di Roberto per Laura. La coppia,
scoppia, ma con essa, anche l’equilibrio mentale dell’uomo che
piomba in una crisi profonda. Ne scaturisce una lenta risalita che
porterà il protagonista a nuove consapevolezze di vita, diventate il
mantra del suo vivere. Il libro, un romanzo d’amore, si pone come
obiettivo quello di offrire spunti di riflessione a quanti possano
trovarsi in situazioni analoghe. Per rilassarsi tra un capitolo e l’altro,
lo scrittore, che ama disegnare, ha effettuato degli schizzi corredati
da frasi che espressione degli insegnamenti acquisiti, che trovano
collocazione nella parte finale, come chiusura del romanzo. Modo
simpatico per accendere le menti di chi legge. Libro accessibile ad
ogni fascia d’età dall’adolescenza alla maturità più avanzata.
Capitolo 1
Narro la mia storia perché è quella di tanta gente comune che si
innamora fottutamente della donna sbagliata, a cui rimangono
ancorati anche dopo la fine della loro relazione.
Chi sono io? Sono Roberto, un uomo di 48 anni divorziato, uscito da
una relazione sentimentale di due anni conclusasi quasi cinque anni
addietro. E quindi vi chiederete, se è finita da così tanto tempo, per-
ché narrarla adesso? Perché, ad oggi, esiste in me ancora un filo che mi
lega a lei e che vorrei provare a recidere con questo scritto.
Vi interessa cosa faccio per vivere, come sono fatto e tutto il resto?
Bene, allora apro una piccola parentesi in tal senso.
Lavoro per l’Esercito Italiano, sono un Sottufficiale trasferito a Bolza-
no il 5 agosto del 1997 proveniente dalla mia amata Sicilia (Messina
per l’esattezza). Tipo normale, altezza 175 cm peso non si chiede mai
ad un uomo, capelli rasati e barba, occhi scuri.
Mi reputo una persona abbastanza pacata che perde il suo raziocino
quando le ingiustizie diventano davvero troppe da poter digerire.
Ho sviluppato, nel corso degli anni, a causa degli eventi che li han-
no caratterizzati, una grande sensibilità che spesso mi porta ad essere
troppo dentro ai problemi degli altri di cui mi faccio carico nel ten-
tativo di risolverli. Ma al troppo dare non è mai corrisposto il poco
ricevere, e quindi limito il mio sostegno agli amici, quelli veri.
Amante del buon cibo, del buon vino, coltivo il sogno di vivere in un
casale circondato dalla campagna a cui dedicarmi.
Magari la pensione potrebbe essere un buon motivo per realizzarlo.
Insieme a me, la protagonista di questa storia che vi racconterò, è Lau-
ra (nome di fantasia), una donna mia coetanea che ha saputo farmi
scoprire cosa significhi amare e perdersi nel dolore di questo senti-
mento. Descrivo anche lei, così che il quadro possa essere ben chiaro.
Altezza anch’essa 175 cm circa, capelli alle spalle, neri, lisci che al
vento svolazzavano sul suo viso splendente di luce accompagnato da
un sorriso destabilizzante. I suoi occhi, scuri e profondi, nascondeva-
no una dolcezza che si manifestava in tutto la sua bellezza quando mi
stava accanto e mi abbracciava per sentirsi protetta ed amata.
Lei altoatesina ed io siciliano, un binomio con tante diversità che han-
no pesato sul rapporto e sulla sua fine. Adesso che tutto è un po’ più
chiaro, posso addentrarmi in questa storia che, come accennato, non
differisce poi da quelli di tanti.
Quando ho conosciuto Laura, avevo chiuso la storia con mia moglie
ed eravamo separati, per cui, emotivamente, ero abbastanza provato,
non certo andavo alla ricerca di una nuova situazione sentimentale.
Aver comunque messo fine ad una storia di ben venticinque anni (co-
noscevo mia moglie da quando ne avevo sedici anni), non era stato
affatto semplice, ma comunque reputato necessario.
La situazione in cui eravamo arrivati, non lasciava molti margini di
riappacificazione. Lei preda del suo egocentrismo e del suo sapere,
mentre gli altri a far da comparse. Situazione tollerabile finché potuto,
ma successivamente non più digeribile. Lasciare casa, ha ovviamente
avuto le sue ricadute sia economiche ma soprattutto psicologiche che
hanno inflitto un primo colpo duro, difficile da incassare.
Quando si lascia figli, abitudini, sacrifici di sempre, non è mai sem-
plice perché è un rimettersi in gioco ma con responsabilità del tutto
nuove. La giustizia italiana in questo, non va per niente incontro ai
mariti/padri anzi, cerca in ogni modo di ridurli sul lastrico quasi do-
vessero espiare delle pene per delle scelte di normale tutela personale.
La salvaguardia sia della donna che dei figli, non può andare a disca-
pito della vita di un uomo.
Ci sono aspetti che andrebbero rivisti, ma ovviamente le femministe
fanno opposizione ad eventuali modifiche ai disegni di legge attuali.
Vivevo in una cameretta messami a disposizione dalla caserma, uno
spazio angusto dove potevo contare su un letto, un armadio ed un
comodino con un pavimento rosso scuro di quelli che solo le caserme
possono vantare di avere, con tetti altissimi. Una unica finestra, pittu-
rata di verde, affacciava su una stradina interna della caserma.
La luce gialla di un vecchio lampadario rendeva l’ambiente ancora più
tetro e triste.
Poco, ma del resto, considerate le ristrette economiche in cui ero ri-
masto, non potevo chiedere di più. Avevo cercato di dare un tocco di
casa a quella stanza con un tavolo dove mi sedevo a cenare, una TV
per le mie notti insonni ed un piccolo fornelletto elettrico per il caffè
del mattino. Ritrovarsi catapultati in una realtà simile, non è stato fa-
cile. In quel periodo così anormale rispetto alle mie abitudini, dovevo
cercare degli appigli che mi mantenessero a galla, che continuassero a
far girare gli ingranaggi della mia mente in maniera lucida per rimane-
re presente ad una realtà sconosciuta e mai immaginata prima.
Ho scoperto che la donna sa essere la creatura più perfida che esista,
minuziosa nei dettagli delle sue malefiche trame, capace di colpire
senza alcuna pietà o sorta di benevolenza, come un cobra quando
viene molestato. Mi è stato portato via tutto, casa (non mia ma del
demanio militare assegnatami dopo il trasferimento a Bolzano), mo-
bili e tutto quello che avevo costruito nel tempo, nessuna concessione
accordatami, neanche la più banale.
Ho ricevuto i miei vestiti in sacchi di plastica, quelli usati per la spaz-
zatura per intenderci, mi è stato prosciugato il conto corrente in nome
di un “de residuo” che, a tutt’oggi, risulta incomprensibile.
Naomi Sciortino

Categoria: Fantasy
Sinossi:
Le emozioni di Ailea erano così forti che non
riusciva più ad assopirle come avrebbe voluto.
Le verità sul suo passato cominciarono a
riemergere dall’oscurità dalla quale era stata
protetta per anni. Ailea si ritrova a vivere in
una realtà parallela, dominata da un sistema
dispotico e crudele. Chi è davvero Ailea? Di chi
sono le voci che sente e che le chiedono aiuto?
Con coraggio deciderà di accettare il suo
destino e di lottare fino in fondo per il suo
popolo, per i suoi amici, per la sua Soleana e
soprattutto per la libertà.
Capitolo 1
Il “Paradiso dell’Estate”, così era soprannominata Soleana, una splendida città turistica
famosa perché era frequentata da persone che si riunivano sulle sue spiagge limpide nei
più caldi giorni di agosto. In molti, infatti, erano soliti portare i loro bambini per farli
giocare e fargli fare nuove amicizie.
Di solito si dividevano in gruppi e facevano a gara per costruire il castello di sabbia più
grande: alcuni amavano particolarmente stare a contatto con l’acqua e finivano per creare
un castello sulla riva, destinato a non durare a lungo dato il costante passaggio dell’acqua,
mentre altri preferivano ripararsi dai raggi solari giocando sotto l’ombra degli enormi
ombrelloni azzurri affittati per l’intero pomeriggio dai genitori che, nel frattempo,
giacevano sulle sedie a sdraio a prendere il sole o a intrattenersi con cruciverba, letture
leggere o giocando a carte.
Anche moltissimi studenti in vacanza ne approfittavano per
fare una nuotata ogni tanto e godere del meritato riposo estivo.
Tra questi c’era anche Ailea, che lavorava part-time come cameriera nel locale vicino al
mare. Quando non c’era tanta gente andava a nuotare per ore e ore, così da dimenticare
tutti i suoi problemi. Da ciò che ricordava, aveva sempre sentito un richiamo dal mare e
dalle sue onde che, fungendo quasi da melodia, riuscivano a calmarla facendola sentire
come in un rifugio sicuro.
Infatti, non era raro trovarla lì: quel mare riusciva sempre, anche se solo per un attimo, a
farle dimenticare ogni paura e insicurezza. Durante le sue “fughe”, il suo ruolo al locale
lo ricopriva Rose, la proprietaria, che da quando l’aveva conosciuta si era affezionata
tantissimo ad Ailea, che per lei era diventata come una figlia e un’amica molto speciale;
ogni volta che le chiedeva qualcosa non riusciva proprio a dirle di no e per questo spesso
si ritrovava a lavorare da sola.
Quel giorno non era molto diverso dagli altri, Ailea tornò al chiosco subito dopo il
tramonto, finì di aiutare Rose a pulire. Anche se c’era stata poca gente, avevano molto
lavoro da fare: pulire i tavoli, spazzare a terra, chiudere la cassa, fare i conti del
guadagno della giornata e poi chiudere il locale per poi riaprirlo l’indomani.
«Allora a domani Ailea… dormi bene!» le disse Rose amorevolmente mentre scendeva le
scale del suo adorato locale. La ragazza la salutò con un sorriso e un cenno della testa.
Tutto sommato era felice di quella che era diventata ormai la sua nuova
vita, se considerava ciò che aveva dovuto passare prima di arrivare a questo punto. Ailea
era nata in un paesino poco lontano da Soleana e i suoi genitori la abbandonarono
quando aveva solo pochi mesi di vita, o almeno questo è quello che le era stato
raccontato.
Visse in un orfanotrofio per molti anni. Tutti i bambini che conobbe nell’istituto furono
adottati, tranne lei. Non riusciva a comprendere il motivo per cui lei non venisse adottata
da nessuna coppia.
Eppure, qualcosa in cuor suo le aveva sempre detto che era destinata a fare grandi cose.
«Sì… lavorare come cameriera.» disse a bassa voce Ailea sorridendo amaramente.
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